Due proverbi per il mese di aprile, ormai alle porte:
“S’t’vu che i còmar i vegna gross coma un baril
t’j è da piantè la prema zobia d’abrìl”
(Se vuoi che i cocomeri vengano grossi come un barile,
li hai da piantare il primo giovedì di aprile)
e ancora
“S’e’ tona in abrìl, l’è un bon segn par e’ baril”
(Se tuona in aprile, è buon segno per il barile (di vino))
Ed infine una ricettina:
“La saraghéna d’abril
coma e’ buratël che va magnè par al fiumân d’abril”
(La saraghina mangiala in aprile
così come i buratelli (piccole anguille) al momento delle piene d’aprile)
Da noi è conosciuta come saraghina o papalina mentre il nome scientifico è Sprattus Sprattus (Linneo).
E’ facile intuire l’etimologia del nome “papalina”: è un pesce che da sempre è presente nel mare Adriatico, pescato dai pescatori della Romagna, terra che è stata per secoli sotto il dominio dello Stato Pontificio. Da qui ad arrivare al nome il passo è molto breve.
Le carni sono ottime e molto saporite, ma è essenziale consumarle fresche perché il loro sapore peggiora soltanto dopo poche ore dalla pesca. Da noi nel ravennate, viene consumata appena pescata, cotta alla griglia, a “scottadito”.
La saraghina a ” scottadita”
Prima di procedere alla cottura alla griglia è bene lavare le saraghine con aceto, scolarle bene e poi passarle in un misto di pane grattugiato con prezzemolo e aglio tritato; non vanno salate. Si possono accompagnare con un buon trebbiano o anche con un vino rosso molto giovane. I nostri vecchi, che si alzavano molto presto la mattina (cun e bur – con il buio) solevano fare:
“A scöta dida la saraghena, da fê claziôn ala maténa”
(non c’è bisogno di traduzione)
o ancora
“Se t’vu sintì l’amor de la sardèla, sòcia la tèsta e ‘ màgna la budèla”.
Av salut
Peval
(Paolo Turchetti)